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Incontro sulle difficoltà di apprendimento

Segnaliamo questa importante iniziativa:

L’ Associazione Genitori Scuola Primaria  Don L. Milani 

Vi invita all'incontro

DIFFICOLTA’ di APPRENDIMENTO
del linguaggio, della lettura e della scrittura:
istruzioni per genitori e insegnanti 
dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola Primaria

In collaborazione con

Officina025 e UONPIA  Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza dell’Azienda Ospedaliera di Gallarate

con la partecipazione di

Maria Rosa Ferrario, Neuropsichiatra responsabile UONPIA
Pina Grossoni, logopedista UONPIA 

mercoledì 30 ottobre, ore 20:45  
presso l’oratorio di Moriggia, via Gramsci, 95
Gallarate (VA)

Scarica la locandina evento qui

E’ gradita iscrizione inviando sms al 335 5989775 oppure e.mail a info@genitorimoriggia.org indicando di voler partecipare alla serata sulle difficoltà di apprendimento, Cognome, Nome, classe e Scuola di appartenenza del proprio figlio. Info anche su www.facebook.com/genitorimoriggia

Alcune riflessioni

Uno dei nostri soci chiede di pubblicare sul blog, come spunto di riflessione sulla notizia riportata nel post precedente, due scritti relativi a due episodi di omicidi commessi da genitori nei confronti di figli autistici.

Novembre 2011
Gentili colleghi,
oltre che magistrato sono padre di famiglia, come molti di voi.
Tra i miei figli c’è una ragazzina autistica di 15 anni.
Di recente ho appreso dalla stampa della grazia concessa dal Presidente della Repubblica al Sig. Crapanzano, condannato per l’omicidio del figlio autistico di circa trent’anni.
Nell’articolo (Corriere della Sera) si faceva riferimento anche alle aspre critiche ricevute dal collega che ha pronunciato la sentenza di condanna (Lorenzo Matassa) con riferimento ai passaggi dedicati alla latitanza delle istituzioni, sanitarie e non, rispetto alla situazione in cui viveva la famiglia Crapanzano, che aveva invano chiesto aiuto di fronte all’aggravamento della patologia del figlio (manifestatasi anche con accessi violenti, auto ed eterolesionistici).
Si tratta di passaggi importanti perché su di essi è stato formulato un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
Trovandomi nello strano destino di unire alla professione di magistrato il ruolo di padre di una figlia “speciale”, ho preso contatti con il collega Matassa, il quale, gentilmente, mi ha trasmesso il testo della sentenza (che a mia volta vi allego).
Ho letto con attenzione le riflessioni oggetto di critica ed ho riconosciuto, nella ricostruzione della vicenda umana e del tormentato rapporto tra i familiari e le istituzioni, la realtà di tante famiglie che vivono questo handicap, molte delle quali incontrate attraverso le reti associative cresciute negli ultimi anni.
La lettera del Presidente dell’ANGSA (una delle più importanti di queste associazioni), riprodotta nella sua interezza nella motivazione della sentenza, descrive in modo ineccepibile il quadro desolante che ha accompagnato le famiglie che hanno dovuto affrontare questa condizione.
L’assenza di cure, di supporti riabilitativi, di proposte...
Le incomprensioni, la solitudine, il senso di abbandono…
Ho sempre pensato che solo vivendo dal di dentro questa situazione fosse possibile comprendere gli effetti destabilizzanti che essa produce sul piano umano, emotivo, psicologico e sociale.
Mi sbagliavo.
Il collega Matassa, che non conosco di persona, ma al quale va tutta la mia stima, investito di un caso estremamente delicato, non si è limitato a prendere atto della confessione del padre omicida.
Ha avuto il coraggio di entrare nel circuito del dolore, togliere il velo di ipocrisia e porsi le domande giuste, traendone le dovute conseguenze.
Se non lo avesse fatto, avrebbe reso un pessimo servizio alla giustizia, come potrebbero confermare tutti coloro che hanno vissuto e che vivono questa esperienza.
Per questo mi sembra doveroso dire a chiare lettere che quello di cui si parla in quella sentenza risponde alla realtà delle cose e che chi, all’interno della magistratura, non lo condivide, semplicemente non sa di cosa si sta parlando.
Sarebbe un bene, invece, che questa sentenza venisse diffusa e che venisse letta anche da coloro che sono preposti all’organizzazione dei servizi sanitari e sociali, perché questa vicenda estrema, come a volta estrema è la vita, possa indurre dei cambiamenti nel sistema e dare così un senso, se possibile, alla fine terribile del giovane Crapanzano.
Massimo Radici - magistrato
P.S.
Quello che è cambiato rispetto alla situazione vissuta dalla famiglia Crapanzano è che, grazie ad una maggiore consapevolezza dei genitori, sono ora presenti sul territorio diverse associazioni che aiutano a mettere in comune le esperienze ed a promuovere le ricerche.

Questo consente di sentirsi meno soli e di stimolare le energie di ognuno, ma c’è ancora tantissimo da fare, anche perché la rete che i genitori possono costruire attorno ai propri figli richiede tempo, dedizione, competenze, disponibilità a rivedere il proprio modo di relazionarsi (qualità che non tutti i genitori hanno o sono disposti ad acquisire) e purtroppo anche risorse economiche non indifferenti (dovendo la famiglia farsi carico totalmente delle spese per gli specialisti e per le terapie riabilitative).

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Comunità di S. Egidio: ''La storia di Sergio Piscitello è drammatica, per l’intreccio di disperazione e di solitudine''
"La storia di Sergio Piscitello è drammatica. E’ drammatica per l’intreccio di disperazione e di solitudine che accompagna il mistero di una violenza estrema che non è frutto di rabbia o di odio ma che ha radice in una cura e in un affetto profondi che non hanno saputo trovare vie praticabili per la speranza di un futuro dignitoso". Lo afferma in un comunicato la Comunità di Sant'Egidio, dopo la vicenda di cronaca dei giorni scorsi, che ha visto il padre Salvatore uccidere il figlio Sergio, disabile, nella loro casa romana.
"E’ una vicenda drammatica ma non è la storia privata del dramma della famiglia Piscitello. L’handicap è un dramma che troppe volte ci si trova a vivere da soli, senza mezzi, con pochi sostegni e in una società che dell’handicap ha paura o sembra non interessarsi", prosegue Sant'Egidio, precisando che la disabilità, l’handicap non è una "questione privata". E’ proprio la "privatezza" che "aumenta l’isolamento e che trasforma troppe volte difficoltà autentiche, che sono parte della vita, in difficoltà insormontabili e che diventano premessa della negazione della vita". "La vita di chi è disabile è complessa e aggiunge complessità alla vita di chi disabile non è e sta accanto. La famiglia è troppo spesso lasciata sola nelle scelte difficili, che diventano più difficili quando aumentano gli anni e non si vedono soluzioni per i propri figli non autosufficienti quando si è più vecchi - afferma ancora la Comunità -. Non c’è da giustificare ma c’è da capire. La vita ha sempre un grande valore e una dignità e potenzialità straordinarie anche quando è oppressa, umiliata, appesantita dal bisogno, e sembra davvero già poca. Non è mai non-vita, è sempre vita, anche se a volte può, superficialmente, sembrarlo. La disperazione e i gesti disperati non possono essere l’ultima parola. Ma proprio per questo non si possono lasciare sole le famiglie a gestire problemi a volte troppo complessi, con carichi di sofferenza, dubbi, incertezze, fatica di vivere che possono diventare schiaccianti".
La Comunità di Sant'Egidio propone quindi "a ciascuno, a tutti, di fermarsi un attimo a pensare e di non allontanare il dramma della famiglia di Sergio Piscitello come se fosse un atto di follia che riguarda solo loro. Perché la disperazione non sia l’ultima parola occorre creare una rete di protezione per chi vive il dramma della malattia nella propria vita o nella propria casa. E’ una rete che ha bisogno di tutti, di tante maglie con nomi e ruoli diversi: famiglia, vicini, simpatia attorno, servizi sociali, istituzioni, società civile nel suo complesso, in un clima mutato. Questa rete di protezione e di solidarietà è il contrario dell’indifferenza e della solitudine in cui si è quasi sempre lasciati quando un problema è troppo grande. E’ responsabilità dei servizi sociali ma anche di ognuno di noi e di un clima, amichevole, da creare. Non si scioglie l’handicap, ma anche il più pesante diventa più sopportabile".
Paissan Mauro - Il mondo di Sergio - prefazione di Stefano Rodotà - Fazi Editore
E’ la storia di Sergio Piscitello, gravemente autistico, che a 39 anni (nel 2003) è stato ucciso dal padre Salvatore dopo l’ennesimo episodio di violenza. Nel 2006 il presidente Napolitano ha concesso la grazia al genitore condannato per l’assassinio del figlio. In queste pagine dure e sincere Paissan racconta la vicenda di una famiglia abbandonata a se stessa, che ha visto il proprio amore trasformarsi in dolore e la propria solitudine in tragedia. Il ricavato del libro contribuirà al progetto autismo della Fondazione Handicap Dopo di noi.


Cosa significa in Italia essere madre di un autistico

Riportiamo dal blog di Gianluca Nicoletti
Una donna di 50 anni ha accoltellato il figlio disabile di undici anni.
GIANLUCA NICOLETTI
Non può esserci commento possibile alla notizia di una madre che accoltella il figlio di undici anni. Non basta appigliarsi alla scarna formula da lancio d’agenzie che informa vagamente che “soffriva di depressione”, a meno di voler correre il rischio di somigliare agli opinionisti da salottino tv, quelli che hanno l’espressione compunta davanti ai plastici di baite di montagna, alle copie di mannaie, alle foto di pavimenti con macchie ematiche.   
Non è invece secondario il fatto che il bambino fosse autistico, l’elemento più delicato e “sensibile” che è trapelato dal riserbo necessario attorno alla vicenda. Oggi è d’ uso un generalizzare diffuso, quanto scellerato, che mette in rapporto l’ autismo con episodi di cruda cronaca, quindi non pongo al momento in cui scrivo l’ assoluta certezza che in realtà fosse quello il disturbo di cui soffrisse la vittima di quell’ atto di disperato furore.   
Posso in coscienza sentirmi di dire, sulla mia personale esperienza familiare, che se il bambino di Promano è in realtà autistico, comprendo la depressione della madre, anche se naturalmente non giustifico minimamente il suo gesto.  
Per una madre che viva in Italia non esistono, almeno al momento e per quello che io ho avuto modo di conoscere, molte situazioni altrettanto angosciose che dovere gestire un figlio autistico, alla soglia dell’ adolescenza. Nel nostro paese l’ approccio a una sindrome, che si pensa debba interessare (pare) seicentomila persone, è assolutamente irrazionale e superficiale. La dice lunga il fatto che siamo l’ unico paese che ai convegni internazionali non sia in grado di fornire dati certi su quanti siano effettivamente gli autistici, quale sia il livello di soddisfazione delle famiglie che debbono gestirne un caso, quale sia il destino di questi ragazzi una volta maggiorenni.  
Quella madre sarà giudicata da chi è preposto a farlo, ma non possiamo perdere questa occasione per aprire una seria riflessione su quale sia il profondo senso di abbandono in cui si trova una famiglia che deve gestire un autistico, senza interlocutori certi e informati, senza che ci siano protocolli di abilitazione ufficializzati e applicati su tutto il territorio nazionale ( le linee guida emanate due anni fa dall’ I.S.S. ancora non sono state tramutate in legge e nessuno sembra interessato concretamente che questo avvenga).  
 In tutto questo resta, mellifluo e impalpabile, ma crudelmente lancinante, l’ antico pregiudizio che le madri abbiano concrete responsabilità sulla disabilità del figlio. Pochi lo ammettono, ma ancora viene chiesto a molte mamme di autistici  se durante l’ allattamento avessero guardato negli occhi il figlio. L’ autismo in Italia, fatte salve alcune straordinarie eccellenze, è ancora istituzionalmente appannaggio di pressapochismo, ignoranza, superstizione.  
Il peso maggiore  di un problema così esteso, che rappresenta statisticamente la prima causa di disabilità, grava sulle famiglie. Nuclei familiari che lentamente vanno in disfacimento , dove le madri, ancor di più, restano sole a gestire un amatissimo vampiro, che allo stesso tempo è il loro carceriere e il loro sorvegliato speciale.  
Tutto questo non giustifica le coltellate, ma serve a distribuire almeno la responsabilità di alcuni impazzimenti materni.

Cercasi cestone porta palloni

Ciao a tutti!
a brevissimo riprenderanno le attività, innanzitutto i laboratori sportivi presso la palestra dell'Istituto ISIS Ponti di Gallarate, via Stelvio 35:

  • Martedì dalle 18.30 alle 20.00 Calcetto femminile
  • Mercoledì dalle 16.00 alle 18.00 Calcetto maschile (new entry!)
  • Giovedì dalle 18.30 alle 20.00 Calcetto femminile

Ovviamente sono aperte le pre-iscrizioni, seguite il link sulla destra.

Abbiamo però la necessità logistica di poter lasciare nella palestra, in un posto sicuro, tutti i palloni da calcio.
Vi chiediamo quindi un aiuto per poter recuperare o farci donare un cestone porta palloni o armadio, simili a questi:


 

 
Dovrebbe poter contenere almeno una ventina di palloni.
Le immagini sono solo esplicative, anche se fosse tutto chiuso alla vista andrebbe bene lo stesso.
Necessario che si possa chiudere con un lucchetto.

Non esitate a contattarci per eventuali chiarimenti.
Grazie a tutti per l'aiuto!!!

I soci dell'Officina025